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Oggi è il Denim day, la giornata istituita 15 anni fa dall’associazione Peace Over Violenze in risposta alla sentenza della Cassazione che in Italia assolse, nel febbraio del 1999, un uomo dallo stupro di una ragazza perché lei indossava un paio di jeans. E in questa giornata lanciamo la sfida di pubblicare articoli con lo stesso titolo: “Perché non ho denunciato” e cominciamo facendolo in prima persona sui blog del Fatto, il Manifesto, del Corriere e Lipperatura.
L’iniziativa è promossa da un gruppo di giornaliste (Luisa Pronzato, Nadia Somma, Luisa Betti) che invitano tutte le altre, giornaliste e blogger, a fare proprio il titolo e l’immagine. E invita tutte le altre donne a raccontarsi rispondendo a: “Perché non ho denunciato.”
Esistono situazioni e casi dove il reato o i reati non vengono denunciati. Per innumerevoli motivi, la vergogna delle vittime, la paura del giudizio sociale e dei riflettori, la paventata sconvenienza sul piano relazionale, il timore dell’isolamento o ancor peggio delle ritorsioni nel quotidiano vivere.
Si crede, in altri casi, di lasciare alle coscienze e al dialogo, al confronto, alle riflessioni, alla crescita e al superamento personale in primis e poi collettivo, alcune vicende personali e forti e le istanze che inevitabilmente ne originano.
In questo caso il peso di un processo appare maggiore della propria scelta di non denunciare.
Osserviamo, spesso, che certe violenze, fisiche e psicologiche, avvengono in contesti relazionali e affettivi vicini, conosciuti, propri, ed è proprio li che è più difficile denunciare. Si coinvolgono rapporti consolidati, amicizie di lunga data, si dovrebbero ricercare testimonianze e delazioni, ci si sente isolati ed impotenti, semplicemente, si avverte la sensazione di dover riaffrontare tutto un’altra volta, soli e… Sotto processo